28 novembre 2011

EUROPA, FEDERALISMO E CULTURA

Credo sia utile, all’inizio di un nuovo progetto di guida dell’amministrazione di Cirò, se si punta a diventare gli interpreti di un nuova stagione di trasformazione del nostro Paese, cercare di capire cosa sta strutturalmente cambiando nella società, nelle aspettative e nel comune sentire della gente.

Non vi sarebbe infatti nulla di più sbagliato che provare a costruire una nuova amministrazione comunale usando punti di riferimento del passato, non importa se per incapacità di analisi o peggio per pigrizia, anziché cercare di capire e quindi anticipare le grandi trasformazioni sociali.

Occorre però una premessa: questo tentativo di analisi (incompleto anche, ma non solo per esigenze di sintesi) riguarda Cirò e con esso il Mezzogiorno che oggi si confronta con l'Europa, il Federalismo e le nuove tecnologie.

Oggi tutto ruota intorno alla centralità del lavoro, divenuto da strumento semplicemente necessario per riuscire a conquistare dignitose o soddisfacenti condizioni di vita a elemento centrale della propria vita, attorno al quale misurare il proprio status sociale, grazie al quale riuscire ad acquistare la proprietà di un numero sempre maggiore di beni materiali, perché è da questo che si misura il livello di benessere raggiunto.

Il sistema, per garantire lavoro deve aumentare la produzione, per aumentare la produzione devono crescere i consumi. Per fare crescere i consumi le famiglie devono spendere di più. Per poter spendere di più le famiglie devono guadagnare di più, quindi devono lavorare di più e più di uno per famiglia, spesso non per libera scelta ma dunque per necessità.

Per reggere, per aumentare i consumi, il sistema e il mercato inventano e impongono bisogni inesistenti ma sempre più incalzanti. Così acquistiamo (o desideriamo se non possiamo acquistare) di tutto. Riempiamo (o vorremmo riempire) la casa di beni sempre nuovi che non riusciamo godere o utilizzare perché ci manca il tempo per farlo. Più la società è ricca più il tempo libero è quasi elusivamente dedicato allo shopping vero o virtuale (guardare le vetrine, desiderando). La tv da decenni mostra nei programmi la ricchezza come modello da raggiungere e nella pubblicità ci indica come spenderla. I livelli sociali si misurano dalle marche esibite nei vestiti, le poche domeniche con i negozi chiusi sono deserti da attraversare. L’appagamento si compra: entriamo in un ipermercato per comprare del burro e usciamo con il carrello pieno di tutto, andiamo ad una mostra o in un museo e passiamo più tempo nel bookshop che davanti ai quadri (è da anni la vendita dei gadget che da più incassi dei biglietti d’ingresso).

Se tutto ciò è vero, come possiamo nel Mezzogiorno d’Italia ed in piccoli Paesi come il nostro raggiungere velocemente un livello di occupazione che non costringa i nostri giovani ad emigrare verso le regioni del nord o le nazioni Europee a più alto tasso di occupazione? Non pretendo di avere dentro di me le risposte all’annosa questione meridionale, né le ricette per una economia che ci faccia superare il gap di secoli di ritardo infrastrutturale rispetto al nord Italia, ma qualche suggerimento ci viene dall’Europa e dal federalismo che ci deve fare riflettere.

Quando l’Europa ha classificato le regioni determinando gli “Obiettivi” lo ha fatto per consentire attraverso finanziamenti agevolati di superare velocemente i gap infrastrutturali ed economici che vi erano al momento della sua costituzione e la Calabria, ma in particolare la provincia di Crotone fu classificata fra le aree ad obiettivo 1 e cioè con finanziamenti pubblici ai comuni del 100% di progetti che avessero come fine un ritorno economico strutturale della popolazione residente. Ciò purtroppo non si è realizzato spesso per incapacità dei nostri amministratori locali che o non hanno presentato progetti strutturali o non hanno saputo presentarli con la conseguenza che i nostri Paesi non hanno progredito come l’Europa ci aveva messo in condizione di fare.

Allo stesso modo, l’idea federalista, dapprima portata dalla lega Nord come secessione e poi abbracciata da tutti i partiti come idea di utilizzo autonomo delle proprie risorse, può rappresentare una opportunità per quei Paesi che hanno un territorio che per le proprie caratteristiche si differenzia da tutti gli altri e può sfruttarne le potenzialità.
Se a tali riflessioni si aggiunge l’opportunità, offerta da oramai diversi anni ai giovani di finanziamenti agevolati come il prestito d’onore o la micro impresa, diventa difficile pensare che ancora oggi sia proponibile una amministrazione che utilizzi il passato per rispondere al futuro, al contrario, ritengo che sia necessaria una rivoluzione culturale che veda al primo posto l’utilizzo delle nostre risorse mediante i mezzi messi a disposizione dall’Europa e dalla finanza agevolata per creare lavoro e ricchezza ai cittadini di Cirò.

Last, but not least va fatta una riflessione sulle nuove tecnologie e sulla loro incidenza nella vita quotidiana di tutti noi, oggi, soprattutto per le nuove generazioni non è più obbligatorio il meccanismo “valgo e conto se possiedo più denaro e più beni di altri” perché a questo si sta già sostituendo per importanza: “valgo se sono in una rete”; una rete di relazioni in cui trovo e scambio idee, opportunità, creatività. In rete valgono criteri diversi e valori, positivi o negativi, diversi. In rete conto non necessariamente per ciò che ho o come appaio, ma per ciò che dico, per le mie capacità di socializzazione e adattamento, per la mia velocità di apprendimento. La rete dunque non come fattore di isolamento per i giovani ma come luogo in cui crescono sensibilità collettive nuove e nuovi punti di riferimento nell’individuazione di modelli sociali.

Tutto ciò deve farci riflettere, non possiamo più esimerci di guardare al futuro di Cirò con un mix di Europa e delle sue opportunità, di imprenditoria giovanile attraverso la micro impresa, al federalismo come mezzo per rivalutare le nostre risorse ed infine alle nuove tecnologie come strumento di coesione sociale.

Ma quando, usciamo dalle elucubrazioni mentali e scendiamo nella politica del fare, ecco che Cirò presenta tutte le caratteristiche dei tempi moderni, ha una storia millenaria che va rielaborata e sfruttata a fini economici e di lavoro, basti pensare al nostro borgo antico, la valle, al nostro castello, alle peculiarità di un vitigno autoctono come il gaglioppo, ai nostri prodotti alimentari tipici, ai mestieri di un tempo, agli uomini illustri come Luigi Lilio e a quant’altro di peculiare abbiamo ed abbiamo dimenticato.

Un poeta della mia famiglia, Luigi Siciliani, scrisse in una sua famosa poesia, “noi che fummo greci, ma grandi”, ebbene forse bisognerebbe pensarla così: ritrovare la nostra cultura e rilanciarla attraverso i mezzi messi a disposizione dall’Europa e che il Federalismo c’impone e forse in pochi anni torneremo ad essere e a dire “noi che siamo Italiani, ma grandi”.

Di una cosa però sono certo, non susciteremo emozioni, non sveglieremo passioni, non accenderemo entusiasmi se non sapremo andare oltre la politica del giorno per giorno, ma soprattutto se non riusciremo a capire le aspettative e i desideri della gente ed anticiparli, accompagnarli nell’individuazione di un modello di società futura verso cui tendere anche nelle scelte quotidiane.

Non possiamo affrontare il secolo nuovo con gli arnesi di culture riformiste straordinariamente importanti ma ormai parte di un secolo che è finito, ormai parte della storia: la liberal-democrazia, il popolarismo, la socialdemocrazia, il marxismo. Da loro dobbiamo trarre linfa e valori per costruire qualcosa di nuovo non conservarli in vita artificialmente, dobbiamo prendere atto che questo nuovo c’è già. Incompleto, frammentario, acerbo ma c’è già. Si esprime in modo diverso nei vari paesi del mondo ma accomuna molto di più di quanto appaia e oggi se vogliamo fare di Cirò un Paese Europeo dobbiamo concentrare l’attenzione su un progetto globale che ci veda protagonisti del nostro futuro.
                                                                      
                                                                                                              Prof. Giuseppe Siciliani

 


Giuseppe Siciliani è nato a Cirò, è Professore Ordinario, Presidente del Corso di Laurea di Odontoiatria e Direttore della Scuola di Specializzazione di Ortodonzia  dell'Università di Ferrara, è stato Deputato al Parlamento Italiano e da qualche anno vive prevalentemente a Cirò dove segue la propria azienda vitivinicola.